Olio d'oliva del Portogallo - Oro liquido
L'olio del Portogallo è di una qualità straordinaria. Inoltre, paesi come l'Italia si riforniscono di olive portoghesi per produrre il proprio olio.
Sorvolando la pianura, lo sguardo nota un insieme infinito di linee verdi, ritagliate in spazi dal tracciato irregolare, a volte punteggiate da cerchi imperfetti. Là in basso ci sono alberi, migliaia, milioni di ulivi allineati su un lato e sull'altro dell'autostrada IP8, la strada che taglia il paesaggio del Baixo Alentejo, nella regione di Ferreira. Ci sono 3400 ettari di oliveti, solo una piccola parte dei 356.000 ettari che esistono in tutto il paese. Al centro di questi 10 milioni di ulivi, dove è già possibile intravedere le olive che verranno raccolte quando arriverà il freddo, c'è il Lagar do Marmelo, un enorme edificio bianco dell'architetto portoghese Ricardo Bak Gordon, uno dei due che la Sovena ha in Portogallo. Solo nel Lagar do Marmelo sono prodotti 8 milioni di litri all'anno, una goccia in confronto alle 200.000 tonnellate prodotte tutti gli anni dalla Sovena, uno dei più grandi produttori di olio d'oliva del mondo, proprietario dei marchi Oliveira da Serra e Andorinha, presente in sette paesi ed esportato in 70.
Cosa c'è di meglio di bagnare un pezzo di pane fresco in un piatto d'olio?O il sapore delle fette di pane tostato, fatto con braci ardenti, cosparse di olio d'oliva al posto del burro? Ci sarà qualcosa di più piacevole di un bel filetto merluzzo appena sfornato dal forno dove si è tostato su un letto di cipolla e olio d'oliva? I portoghesi sanno che la risposta è no. Oltre a tutto questo, è uno degli elementi centrali della dieta mediterranea - Patrimonio mondiale e immateriale dell'umanità per l¡Unesco fin dal 2013 -, "un tipo di grasso molto salutare", come ricorda Jorge de Melo, presidente della Sovena, che riconosce che il culto della vita sana ha contribuito all'aumento delle vendite in tutto il mondo.
Ogni portoghese consuma in media otto litri di olio d'oliva all'anno, in ogni caso meno di spagnoli o italiani, che non sono solo i maggiori consumatori, ma anche i maggiori produttori. Ma c'è una correzione da fare: anche se ufficialmente l'Italia appare nel top 5, gran parte dell'olio d'oliva venduto dai marchi italiani proviene da altri paesi. "L'Italia ha abbassato molto la produzione ma ha una reputazione", e per compensare la penuria finisce per comprare olio d'oliva in Portogallo, Marocco o Tunisia. "Più della metà delle nostre esportazioni sono vendute sfuse, il che è un fenomeno nuovo", afferma Mariana Matos, segretaria generale della Casa do Azeite (Casa dell'Olio), un'associazione che lavora per promuovere la crescita del settore olivicolo nazionale. E se una parte significativa va in Spagna, poiché proveniente da ulivi che appartengono agli spagnoli, nel caso dell'Italia, "che è molto carente, usa gli oli d'oliva portoghesi per fare delle combinazioni con le sue varietà".
Alla fine dello scorso anno, le esportazioni portoghesi hanno raggiunto i 496 milioni di euro. La Herdade do Esporão, ad esempio, vende il 60% della produzione sul mercato estero e la Sovena registra circa l'80% del fatturato anch'essa all'estero. Dall'inizio del millennio, il proprietario di Oliveira da Serra ha iniziato a guardare ai mercati esteri. La prima internazionalizzazione inizia con l'acquisto di beni in Spagna, poi nel 2004 avvenne l'acquisto del marchio Andorinha in Brasile. Vennero poi gli Stati Uniti con l'acquisto del più grande importatore e confezionatore di olio d'oliva. Nel 2006 la Sovena, oltre alla proprietà dell'oliveto in Spagna, inizia a coltivare in Marocco e un anno dopo in Tunisia. In totale sono 15.000 ettari e più di 19 milioni di ulivi piantati dal 2007, o, come dice Jorge de Melo, "quasi due alberi per ogni portoghese".
Cosa c'è di meglio di bagnare un pezzo di pane fresco in un piatto d'olio?O il sapore delle fette di pane tostato, fatto con braci ardenti, cosparse di olio d'oliva al posto del burro? Ci sarà qualcosa di più piacevole di un bel filetto merluzzo appena sfornato dal forno dove si è tostato su un letto di cipolla e olio d'oliva? I portoghesi sanno che la risposta è no. Oltre a tutto questo, è uno degli elementi centrali della dieta mediterranea - Patrimonio mondiale e immateriale dell'umanità per l¡Unesco fin dal 2013 -, "un tipo di grasso molto salutare", come ricorda Jorge de Melo, presidente della Sovena, che riconosce che il culto della vita sana ha contribuito all'aumento delle vendite in tutto il mondo.
Ogni portoghese consuma in media otto litri di olio d'oliva all'anno, in ogni caso meno di spagnoli o italiani, che non sono solo i maggiori consumatori, ma anche i maggiori produttori. Ma c'è una correzione da fare: anche se ufficialmente l'Italia appare nel top 5, gran parte dell'olio d'oliva venduto dai marchi italiani proviene da altri paesi. "L'Italia ha abbassato molto la produzione ma ha una reputazione", e per compensare la penuria finisce per comprare olio d'oliva in Portogallo, Marocco o Tunisia. "Più della metà delle nostre esportazioni sono vendute sfuse, il che è un fenomeno nuovo", afferma Mariana Matos, segretaria generale della Casa do Azeite (Casa dell'Olio), un'associazione che lavora per promuovere la crescita del settore olivicolo nazionale. E se una parte significativa va in Spagna, poiché proveniente da ulivi che appartengono agli spagnoli, nel caso dell'Italia, "che è molto carente, usa gli oli d'oliva portoghesi per fare delle combinazioni con le sue varietà".
Alla fine dello scorso anno, le esportazioni portoghesi hanno raggiunto i 496 milioni di euro. La Herdade do Esporão, ad esempio, vende il 60% della produzione sul mercato estero e la Sovena registra circa l'80% del fatturato anch'essa all'estero. Dall'inizio del millennio, il proprietario di Oliveira da Serra ha iniziato a guardare ai mercati esteri. La prima internazionalizzazione inizia con l'acquisto di beni in Spagna, poi nel 2004 avvenne l'acquisto del marchio Andorinha in Brasile. Vennero poi gli Stati Uniti con l'acquisto del più grande importatore e confezionatore di olio d'oliva. Nel 2006 la Sovena, oltre alla proprietà dell'oliveto in Spagna, inizia a coltivare in Marocco e un anno dopo in Tunisia. In totale sono 15.000 ettari e più di 19 milioni di ulivi piantati dal 2007, o, come dice Jorge de Melo, "quasi due alberi per ogni portoghese".
Il più grande oliveto del mondo
Nonostante le dimensioni della Sovena, il Portogallo non è ancora uno dei maggiori produttori al mondo, ma ci sono pochi dubbi che sia uno dei migliori. Né siamo noi a dirlo. Alla fine di giugno, il Portogallo ha guadagnato a New York quattro premi Mario Solinas, una sorta di oscar dell'olio d'oliva. Il Consiglio oleicolo internazionale (International Olive Council) ha dato all'olio d'oliva fruttato verde chiaro prodotto dalla Sociedade Agrícola Vale do Ouro il premio come migliore olio del mondo. Anche la Sovena, la Fitagro e la Elosua hanno ricevuto riconoscimenti. Un'impresa che si è ripetuta nel corso degli anni. "Nel mondo professionale c'è già il riconoscimento del fatto che il Portogallo percorre un cammino esemplare", afferma Mariana Matos.
Anche in termini quantitativi, il Portogallo assume un ruolo sempre più importante. Mariana ci dà il benvenuto nel giorno in cui l'Istituto Nazionale di Statistica ha confermato i numeri della campagna 2017-2018: 134.600 tonnellate, il valore più alto da quando gli stessi vengono registrati. "È qualcosa che dieci anni fa, anche nei nostri sogni migliori, non sarebbe stato possibile". Un lavoro da formica, che richiede più di due decenni, spiega Mariana. "Tutto nasce alla fine della decade del 1990, con uno sguardo diverso verso il settore, che stava morendo nella decade del 1960 con l'ingresso sul mercato delle margarine, che si diceva fossero più sane dell'olio d'oliva. Il settore ha risentito immensamente del calo dei consumi". - E peggiorò. Il periodo più buio è stato quello dopo l'ingresso nella Comunità economica europea, nel 1986, quando sono stati assegnati i sussidi per l'olivicoltura.
Un decennio più tardi, quando la revisione della politica agricola comune (PAC) svincola gli aiuti dalla produzione e "gli imprenditori hanno iniziato a scommettere su ciò che è più redditizio e non ciò che aveva più sussidi", il settore dell'olio d'oliva vive un'inversione di tendenza. "A quel tempo c'erano piani per ristrutturare la filiera olivicola, il governo iniziò a considerare il settore come pieno di potenziale perché il consumo internazionale stava crescendo". Qui la produzione era andata in malora, sebbene il paese abbia olivi da nord a sud fin dalla notte dei tempi. "Oltre a questo, c'era disponibilità d'acqua, c'erano terreni che erano stati liberati dalla produzione di cereali, e il Portogallo ha finalmente negoziato un piano per incrementare il settore olivicolo con aiuti straordinari che non esistevano più in altri paesi, aiuti diretti alla piantagione". Tutto questo succede più o meno nello stesso momento in cui è completata la costruzione della diga di Alqueva nel 2003, essenziale per il rifornimento di acqua nell'Alentejo. È la combinazione perfetta: gli aiuti europei, l'abbondante acqua e le grandi distese di terra consentono la comparsa di 10, 20, 30 mila ettari di oliveti nell'Alentejo, mentre nel resto del paese le condizioni geografiche non consentono di lasciare il mini-fondo, ma si generano comunque nuovi investimenti. Attualmente, il 61% degli oliveti piantati in Alentejo è di proprietà di aziende portoghesi, secondo i dati della società di sviluppo e infrastrutture di Alqueva.In tutto si tratta di 41.243 ettari. E l'esistenza di nuove tecnologie ha completato l'equazione. Oggigiorno tutto ciò che è meglio fare nel mondo dell'olio d'oliva esiste nell'Alentejo, non solo nelle piantagioni, ma anche nei frantoi per la trasformazione.
Raccolta e frantoi
La parola olio (in portoghese, azeite) ha la sua origine nella parola araba az - zait, che letteralmente significa "succo d'oliva". Mariana Matos spiega che ci sono "pochi grassi nel succo di un frutto, di solito vengono estratti dai semi in un processo di estrazione che coinvolge solventi chimici". Nell'olio d'oliva questo non accade. È davvero solo un succo. Dall'oliveto le olive vengono portate al frantoio, dove vengono pulite, prima di essere schiacciate. Dopo c'è la centrifugazione che separa l'olio d'oliva dall'acqua e dai residui da spremitura delle olive. Il numero di frantoi si è evoluto in modo inversamente proporzionale alla produzione. Un decennio fa c'erano quasi mille frantoi per una produzione che superava le 50 mila tonnellate. Oggi ci sono circa 500 frantoi sparsi in tutto il paese. "Abbiamo molti meno frantoi, ma quelli che sono rimasti sono molto più efficienti, più moderni, meglio equipaggiati".
Uno di questi appartiene alla Herdade do Esporão, a Reguengos de Monsaraz, dove arrivano le olive raccolte nell'oliveto di Arrifes, oltre a quelle coltivate nella Quinta dos Murças, sulla sponda del Duero, con alberi con oltre 50 anni d'età, delle varietà Galega e Negrinha do Freixo, "dove la raccolta viene eseguita manualmente e presenta caratteristiche uniche", afferma João Roquette, amministratore delegato della Herdade do Esporão. È l'area lungo il fiume Duero che rende Trás-os-Montes la seconda regione del paese in termini di produzione. Roquette dice che i due oliveti di Esporão sono certificati per la modalità di produzione biologica. Più nota per il suo vino, la Herdade do Esporão produce olio d'oliva da oltre 20 anni, di cui vengono venduti oltre 1,5 milioni di litri di olio d'oliva, venduti non solo in Portogallo ma anche in Brasile, Canada e Stati Uniti.
Nell'antica Grecia gli olivi erano venerati come alberi sacri e l'olio usato in cucina o per gli unguenti o per l’illuminazione, ed era ed è vero oro liquido. Ora, nessuno resiste all'olio di oliva portoghese.
Testo di Hermínia Saraiva
Nonostante le dimensioni della Sovena, il Portogallo non è ancora uno dei maggiori produttori al mondo, ma ci sono pochi dubbi che sia uno dei migliori. Né siamo noi a dirlo. Alla fine di giugno, il Portogallo ha guadagnato a New York quattro premi Mario Solinas, una sorta di oscar dell'olio d'oliva. Il Consiglio oleicolo internazionale (International Olive Council) ha dato all'olio d'oliva fruttato verde chiaro prodotto dalla Sociedade Agrícola Vale do Ouro il premio come migliore olio del mondo. Anche la Sovena, la Fitagro e la Elosua hanno ricevuto riconoscimenti. Un'impresa che si è ripetuta nel corso degli anni. "Nel mondo professionale c'è già il riconoscimento del fatto che il Portogallo percorre un cammino esemplare", afferma Mariana Matos.
Anche in termini quantitativi, il Portogallo assume un ruolo sempre più importante. Mariana ci dà il benvenuto nel giorno in cui l'Istituto Nazionale di Statistica ha confermato i numeri della campagna 2017-2018: 134.600 tonnellate, il valore più alto da quando gli stessi vengono registrati. "È qualcosa che dieci anni fa, anche nei nostri sogni migliori, non sarebbe stato possibile". Un lavoro da formica, che richiede più di due decenni, spiega Mariana. "Tutto nasce alla fine della decade del 1990, con uno sguardo diverso verso il settore, che stava morendo nella decade del 1960 con l'ingresso sul mercato delle margarine, che si diceva fossero più sane dell'olio d'oliva. Il settore ha risentito immensamente del calo dei consumi". - E peggiorò. Il periodo più buio è stato quello dopo l'ingresso nella Comunità economica europea, nel 1986, quando sono stati assegnati i sussidi per l'olivicoltura.
Un decennio più tardi, quando la revisione della politica agricola comune (PAC) svincola gli aiuti dalla produzione e "gli imprenditori hanno iniziato a scommettere su ciò che è più redditizio e non ciò che aveva più sussidi", il settore dell'olio d'oliva vive un'inversione di tendenza. "A quel tempo c'erano piani per ristrutturare la filiera olivicola, il governo iniziò a considerare il settore come pieno di potenziale perché il consumo internazionale stava crescendo". Qui la produzione era andata in malora, sebbene il paese abbia olivi da nord a sud fin dalla notte dei tempi. "Oltre a questo, c'era disponibilità d'acqua, c'erano terreni che erano stati liberati dalla produzione di cereali, e il Portogallo ha finalmente negoziato un piano per incrementare il settore olivicolo con aiuti straordinari che non esistevano più in altri paesi, aiuti diretti alla piantagione". Tutto questo succede più o meno nello stesso momento in cui è completata la costruzione della diga di Alqueva nel 2003, essenziale per il rifornimento di acqua nell'Alentejo. È la combinazione perfetta: gli aiuti europei, l'abbondante acqua e le grandi distese di terra consentono la comparsa di 10, 20, 30 mila ettari di oliveti nell'Alentejo, mentre nel resto del paese le condizioni geografiche non consentono di lasciare il mini-fondo, ma si generano comunque nuovi investimenti. Attualmente, il 61% degli oliveti piantati in Alentejo è di proprietà di aziende portoghesi, secondo i dati della società di sviluppo e infrastrutture di Alqueva.In tutto si tratta di 41.243 ettari. E l'esistenza di nuove tecnologie ha completato l'equazione. Oggigiorno tutto ciò che è meglio fare nel mondo dell'olio d'oliva esiste nell'Alentejo, non solo nelle piantagioni, ma anche nei frantoi per la trasformazione.
Raccolta e frantoi
La parola olio (in portoghese, azeite) ha la sua origine nella parola araba az - zait, che letteralmente significa "succo d'oliva". Mariana Matos spiega che ci sono "pochi grassi nel succo di un frutto, di solito vengono estratti dai semi in un processo di estrazione che coinvolge solventi chimici". Nell'olio d'oliva questo non accade. È davvero solo un succo. Dall'oliveto le olive vengono portate al frantoio, dove vengono pulite, prima di essere schiacciate. Dopo c'è la centrifugazione che separa l'olio d'oliva dall'acqua e dai residui da spremitura delle olive. Il numero di frantoi si è evoluto in modo inversamente proporzionale alla produzione. Un decennio fa c'erano quasi mille frantoi per una produzione che superava le 50 mila tonnellate. Oggi ci sono circa 500 frantoi sparsi in tutto il paese. "Abbiamo molti meno frantoi, ma quelli che sono rimasti sono molto più efficienti, più moderni, meglio equipaggiati".
Uno di questi appartiene alla Herdade do Esporão, a Reguengos de Monsaraz, dove arrivano le olive raccolte nell'oliveto di Arrifes, oltre a quelle coltivate nella Quinta dos Murças, sulla sponda del Duero, con alberi con oltre 50 anni d'età, delle varietà Galega e Negrinha do Freixo, "dove la raccolta viene eseguita manualmente e presenta caratteristiche uniche", afferma João Roquette, amministratore delegato della Herdade do Esporão. È l'area lungo il fiume Duero che rende Trás-os-Montes la seconda regione del paese in termini di produzione. Roquette dice che i due oliveti di Esporão sono certificati per la modalità di produzione biologica. Più nota per il suo vino, la Herdade do Esporão produce olio d'oliva da oltre 20 anni, di cui vengono venduti oltre 1,5 milioni di litri di olio d'oliva, venduti non solo in Portogallo ma anche in Brasile, Canada e Stati Uniti.
Nell'antica Grecia gli olivi erano venerati come alberi sacri e l'olio usato in cucina o per gli unguenti o per l’illuminazione, ed era ed è vero oro liquido. Ora, nessuno resiste all'olio di oliva portoghese.
Testo di Hermínia Saraiva